Preambolo

L’idea di utilizzare il pavimento per il riscaldamento degli ambienti residenziali e pubblici è molto antica ed è maturata indipendentemente presso diverse civiltà, anche se molto distanti tra loro sia geograficamente che culturalmente. Un’approfondita panoramica sull’impiego delle tecniche di riscaldamento per irraggiamento dal pavimento è proposta nell’articolo “Radiant Heating and Cooling Systems” (riff. [1] e [2]) suddiviso in due parti: la parte 1, dedicata ai paesi asiatici e dell’estremo oriente, e la parte 2, dedicata ai paesi occidentali e mediterranei. Altri cenni storici sono offerti dalle ottime pubblicazioni Caleffi (Idraulica 9, rif. [3], Idraulica 21, rif. [4] e Quaderno 4, rif. [5]), da alcuni siti [(1), (4), (6), (7), (9), (33), (34)], e da testi specialistici quali i riff. [13] e [15].

Il cammino storico del riscaldamento a pavimento può essere efficacemente suddiviso in sei periodi di differente durata ma caratterizzati da una sostanziale omogeneità applicativa (si veda anche Caleffi, rif. [5]).

Antichità

Come accennato nel preambolo, il riscaldamento a pavimento, nelle abitazioni e nei locali pubblici, era utilizzato già molti anni prima della nascita di Cristo in diverse aree geografiche: nell’est asiatico, in Cina e Corea, sino alle isole Aleutine; nell’area mediterranea, in Grecia e a Roma.

Secondo Bean et al. (rif. [1]), i primi rudimentali sistemi di riscaldamento a pavimento (i “kang”, che in italiano significa “letto riscaldato”) fecero la loro comparsa in Cina intorno al 10.000 a.C. Più o meno intorno al 5.000 a.C. sistemi più evoluti erano diffusamente impiegati in Cina (i “dikang”, che in italiano vuol dire “pavimento riscaldato”) e Corea (gli “ondol”, che in italiano sta per “pietra calda”) [v. anche sito (1)]. L’uso della tecnologia del pavimento radiante si protrasse in tutta la Cina imperiale sino al 1.910 d.C. con progressivi affinamenti e miglioramenti, quali l’adozione di condotti distaccati dal suolo per ridurre le dispersioni termiche, e la collocazione esterna della fornace.  Intorno all’anno 1.000 a.C., l’impiego di questo sistema di riscaldamento risultava diffuso anche in Nord Corea ed esteso sino alle isole Aleutine (Alaska).

I reperti archeologici indicano che, inizialmente, i pavimenti erano riscaldati da un focolare sottostante (nei “kang”, nei “dikang” e negli “ondol”). Il focolare era usato tanto per il riscaldamento quanto come primordiale forno per la cottura degli alimenti. Successivamente la funzione “cottura” fu separata da quella “riscaldamento” e il forno dedicato alla cottura dei cibi fu dislocato sul perimetro esterno dell’unità abitativa (Figura 1 ÷ Figura 4).

Secondo i siti (2) e (3), la tecnica di riscaldamento dal basso era in uso anche presso gli Egizi, ma di questa informazione non c’è riscontro in nessuna pubblicazione consultata.  La tecnica adottata da Cinesi ed Egizi non era, secondo il sito (3), molto sofisticata consistendo nel collocare il braciere direttamente sotto il pavimento, soluzione che in realtà, come si è visto, i Cinesi adottarono solo nelle applicazioni più antiche, come si può evincere dalle immagini che seguono.

Figura 1: Kang visitato a Jilin nel 1887 da Henry E.M. James [fonte: sito (14)]

Figura 2: Ricostruzione di ondol coreano con lato cucina e camera riscaldata [fonte: sito (11)]

                                                                                                                                                        

Figura 3: Evoluzione dell'ondol coreano (fonte: ResearchGate)

Figura 4: Sezione tipica di un ondol evoluto [fonte: sito (12)]

Secondo il sito (1), i Greci e i Romani iniziarono ad applicare l’idea del riscaldamento a pavimento intorno al 500 a.C. Il sito (4) data l’impiego di questa tipologia di riscaldamento sin dal 2.000 a.C. presso i Greci.

Sulla datazione c’è, tuttavia, un po’ di incertezza e confusione, atteso che nella pagina “Ipocausto – Wikipedia” [sito (5) >>] si afferma, invece, che i reperti greci di ipocausto risalgono al 100 a.C. (terme di Cladeo a Olimpia) e che l’invenzione di questa forma di riscaldamento presso i romani è attribuita a Caio Sergio Orata (rif. [7]), un cittadino romano di Lucrino (140-90 a.C.), contemporaneo di Cicerone. Questa attribuzione, sebbene diffusa, non è da tutti ritenuta corretta, perché contrastante col fatto noto che l’ipocausto fosse già da tempo in uso presso i greci. È più probabile che Orata sia stato l’ideatore del bagno a vapore, ossia della sauna [fonte: sito (6)]. Nell’articolo rif. [2], Bean et al. fissano nel terzo secolo avanti Cristo l’introduzione dell’ipocausto in Europa, richiamando da un lato il già citato Caio Sergio Orata e riconoscendo, dall’altro lato, che si trovano reperti di impieghi del sistema in Grecia (Gortys) e Magna Grecia (Gela, Megara Hyblaea, Siracusa) risalenti al terzo secolo prima di Cristo. La stessa fonte segnala che da Roma l’ipocausto si diffuse verso oriente, in Afghanistan (rif. [8]) e Siria (rif. [9]), e a sud, in Africa (rif. [10]).

Il concetto applicato da Greci e Romani era simile a quello adottato indipendentemente nell’estremo oriente da Cinesi e Coreani. Sotto i pavimenti si ricavavano dei condotti destinati a essere attraversati dall’aria riscaldata da focolari ubicati sotto il piano del pavimento, collocati sia internamente sia esternamente al perimetro della costruzione. L’impianto sotto pavimentale prendeva il nome di “hypocaustum”. Gli “ipocausti“ (dal latino hypocaustum, termine derivato dal greco per indicare “riscaldamento dal basso”) erano dunque costituiti da una serie di gallerie ricavate sotto la soletta calpestabile, indicata come “suspensura”, in quanto poggiante non sul sottostante terreno ma su pilastrini di mattoni (pilae in latino), consentendo all’aria riscaldata dal forno, interno od esterno (hypocausis o praefurnium), generalmente alimentato da carbone di legna, di attraversare la cavità sottostante così ottenuta. Lo stesso sistema era adottato nelle terme. L’aria calda, dopo aver lambito il pavimento, veniva convogliata infine in un condotto (il vaporarium) che la immetteva nelle cosiddette «parietes tubulati», cioè muri dotati di tubuli ricavati nel laterizio, per il riscaldamento degli ambienti abitati sovrastanti. Le cavità sotto i pavimenti rialzati (suspensurae) avevano altezza intorno ai 50-60 cm. Si ritiene che la temperatura nei locali abitati non dovesse superare i 30°C [fonte: sito (5)].

La progettazione degli ipocausti termali raggiunse un buon livello di standardizzazione, tant’è che Vitruvio, nel “De architectura”, elenca i requisiti cui essi dovevano attenersi [sito (7)], come si può apprendere dalla pagina Hypocaustum di Wikipedia che riporta un brano in latino del «Vitruvius de hypocausto aedificando» [sito (8)].

Molte interessanti immagini sugli ipocausti romani sono disponibili nel rif. [11] e nel sito (6). Di seguito sono riportate alcune tra le immagini più significative.

Figura 5: Ipocausto di terme romane [fonte: sito (4)
 
Figura 6: Ipocausto di terme romane [fonte: sito (1))
Figura 7: Ipocausto romano [fonte: sito (2)]
 
Figura 8: Sistema di distribuzione dell'aria calda nelle terme romane [fonte: sito (3)]
Figura 9: Forature tubolari (tubuli) nelle pareti del calidario delle terme di Ostia Antica [fonte: sito (5) e sito (9)]
 
Figura 10: Ipocausto di villa romana a Saldana [fonte: sito (5)]

Per quanto riguarda i forni, gli hypocausis parola che in latino significa “calorifero sotterraneo”, una serie di interessanti immagini si trovano al collegamento (>>).

Il sistema dell’ipocausto, sebbene ampiamente diffuso nel mondo romano, non sopravvisse alla transizione medievale e sparì dall’architettura europea dei secoli successivi, sostituito dal riscaldamento a parete, prima con bracieri e camini, poi con stufe, al contrario degli ondol coreani che rimasero in voga sino ai tempi moderni, sviluppandosi e diffondendosi anche in Giappone (rif. [2]). Il sistema a ipocausto continuò, invece, a essere utilizzato nell’Impero Ottomano per il riscaldamento dei Bagni Turchi [sito (34)].

È da notare che, intorno al 1540 d.C., in India fu usata per la prima volta la tecnica radiante per il raffrescamento dei locali con tubi percorsi da acqua fredda ubicati nei muri (Lotus Mahal, Hampi, Karnataka) [sito (34)].

Dal Seicento all’Ottocento

Alla fine del Seicento, come ricordano i riff. [2] e [17], in Europa ci fu una riscoperta del riscaldamento a pavimento già in uso presso i Romani.

Nell’articolo rif. [17], l’autore, Bruegmann, richiama il testo del 1691 “Kalendarium Hortense, or the Gard'ners Almanac“ (rif. [18]) di John Evelyn (1620-1706); esso, a pag. 137, segnala che il sistema di riscaldamento a ipocausto, lascito dei tempi antichi, era comunemente in uso nelle serre russe, sostenendo altresì che questo sistema di riscaldamento delle serre era certamente noto e in uso anche in Europa. La riscoperta di questa tecnica ne stimolò, seppure ancora occasionalmente, l’applicazione in nuovi edifici, soprattutto pubblici, nel corso del XIX secolo. Il rischio di incendio fu, tuttavia, un forte deterrente contro un più esteso impiego.

Nel Settecento c’è memoria dell’impiego del sistema a ipocausto per il riscaldamento del bagno pubblico (Hammam) nella cittadella di Erbi in Mesopotamia (oggi Iraq).

Nel volume 1 della ‘’Encyclopédie méthodique d’Architecture’’ (rif. [19]), del 1787, da pagina 631 a pagina 640 sotto la voce «Cheminée» sono trattati con ampiezza gli ipocausti romani; in particolare, a pagina 638, nella sezione «Des cheminées chez les modernes» si sottolinea come in Europa questa tecnica fosse caduta in disuso.

L’architetto inglese William Chambers (>>) nel suo “Plans, Elevations, Sections and Perspective Views of the Gardens and Buildings at Kew in Surey” - London, 1763 (rif. [20]) descrive e illustra (plate vii) una serra del XVIII secolo riscaldata con gas caldo che percorre il volume sotto il pavimento e defluisce all’esterno attraverso condotti ricavati nel muro posteriore (Figura 11).

Figura 11: Sezione del cottage ideato da William Chambers con sistema a ipocausto (rif. [20])

Nel 1792-93, l’architetto inglese Sir John Soane (>>) – non Stone come riportato dai riff. [2] e [13] pag. 9 – adottò il sistema a ipocausto per il riscaldamento della Banca d’Inghilterra. Le immagini che seguono, tratte dalla raccolta del «Sir John Soane’s Museum Collection Online» (>>), mostrano: la prima a sinistra, la serpentina sotto il pavimento della hall entro la quale circola aria calda e fumi; la seconda a destra, i condotti verticali.

Figura 12: Sistema di riscaldamento a ipocausto ideato da Sir John Soane per la Banca d’Inghilterra [fonte: Collections.soane.org]
 
Figura 13: Sistema di riscaldamento a ipocausto ideato da Sir John Soane per la Banca d’Inghilterra [fonte: Collections.soane.org]

Sistemi a ipocausto sono considerati dal botanico John Claudius Loudon (>>) che, nel suo “A Manual of Cottage Gardening, Husbandry, and Architecture” - London, 1830 (rif. [21]), propose un cottage riscaldato col principio dell’ipocausto.

Edwin Chadwick (>>) propose questa tecnica (indicata come “Roman hollow floor”) nel suo “Sanitary Principles of School Construction”, Journal of the Royal Society of Arts, XIX, 1871, pp. 856-860 (rif. [23]).

Douglas Strutt Galton (>>) descrisse l’applicazione della tecnica negli ospedali nel suo “Healthy Hospitals”, Oxford, 1893 (rif. [24]): nell’Herbert Hospital il fumo caldo era canalizzato nell’intercapedine tra due lastre di ferro rivestite con due sottili stratti di argilla refrattaria e poi convogliato in un condotto verticale per lo scarico. Come ricordato da Dufton (rif. [14]), Galton poneva grande attenzione agli aspetti di salubrità delle abitazioni. Nel libro “Observations on the Construction of Healthy Dwellings” di cui fu autore pose in grande risalto la necessità di un’adeguata ventilazione degli ambienti indipendente dalle finestre (rif. [63]).

William E. Ward (>>) nell’articolo “Béton in combination with iron as a building material”, ASME Transactions, IV, 1882-1883, 396 (rif. [25]) descrive la realizzazione pionieristica della Ward House a Port Chester (Connecticut) dove fumo caldo circolava tra due solette in calcestruzzo (fig. 2 della citata memoria di Ward) alle quali veniva convogliato da canali ricavati nei muri (Figura 14).

Figura 14: Sistema di riscaldamento della Ward House a Port Chester (fonte: rif. [25])

Oltre alle applicazioni pionieristiche descritte qui sopra, in questo periodo maturarono anche le conoscenze scientifiche che stimoleranno il successivo diffuso impiego di questa tecnica di riscaldamento, sia pure con alterne fortune, sino ai nostri giorni.

Nel Settecento, intorno al 1741-1742 [sito (24)], Benjamin Franklin, dopo aver studiato i sistemi di riscaldamento adottati in Francia e in Asia, sviluppò una stufa con elevata capacità di irraggiamento grazie alla estesa circolazione interna dei fumi. La stufa fu battezzata col nome di “Pennsylvania Fireplace”, ma divenne poi nota come “Circulating Stove” [sito (42)], oppure come “Franklin Stove” (rif. [2]), sebbene la popolarità fosse stata raggiunta dopo l’intervento di David Rittenhouse che risolse i molti problemi del progetto originale [sito (42)]. La versione migliorata da Rittenhouse divenne il sistema di riscaldamento preferito nelle abitazioni americane. La stufa ideata da Franklin consentiva un’elevata efficienza energetica, avendo la capacità di rilasciare il doppio di energia termica a parità di peso di legname combusto, oppure, secondo il rif. [14], consentendo un risparmio non inferiore ai cinque sesti del combustibile altrimenti richiesto per il riscaldamento di una stanza. Questa stufa, sebbene condivida con il sistema dei pannelli radianti a pavimento solo lo sfruttamento dell’irraggiamento da una canalizzazione, è considerata come un caposaldo nella storia dei pannelli radianti (si veda per esempio il rif. [2]), nonostante all’epoca ci fossero in uso camini non meno famosi, spesso più efficienti e non meno interessanti per i principi innovativi adottati, quali: il camino ventilato di Galton, il camino di Gauger, il camino di Nancy (rif. [14]).

Nel 1800 si avviarono gli studi sull’irraggiamento e sulla conducibilità termica che condussero ai primi dispositivi di scambio termico con acqua calda circolante in tubazioni brevettati da Angier March Perkins (>>) nel 1839 e nel 1841. Angier March Perkins era figlio di Jacob Perkins (>>) considerato il padre della refrigerazione. nonché inventore di ingegnosi sistemi che sfruttavano acqua calda ad alta pressione (rif. [14]).

In questo periodo, anche in Europa e in America si cominciò a usare l’acqua circolante in tubazioni per il raffrescamento degli ambienti, come già in India sin dal 1540 d.C.

Anni 1900-1945

Il Novecento ebbe inizio con due avvenimenti che rappresentarono una vera e propria svolta nella applicazione di questa tecnica. In primis, ci fu lo sviluppo dell’impianto sotto pavimentale per il riscaldamento con aria calda della Cattedrale di Liverpool, la cui costruzione fu avviata nel 1904 (>>). Si trattò, come è sostenuto nel rif.  [2], della più grande applicazione moderna del riscaldamento a pavimento con aria calda (>>) circolante in canali ricavati sotto la soletta (rif. [13], pag. 100). G. N. Haden & Sons (>>), che lo brevettarono, gli assegnarono il nome di “metodo di riscaldamento Romano” (rif. [13], pag. 8). La Figura 15 mostra alcuni sketch della realizzazione.

Figura 15: Sistema di riscaldamento a pavimento con aria calda della Cattedrale di Liverpool (rif. [13], pag. 99)

La svolta decisiva nell’uso del sistema di riscaldamento a pavimento fu impressa, però, dal secondo avvenimento: tra il 1907 e il 1908 (rif. [13], pag. 9), il Prof. Arthur H. Barker sviluppò il primo progetto di un sistema di riscaldamento a pannelli radianti con acqua calda circolante in tubi di piccolo diametro annegati nel calcestruzzo (rif. [13], pag. 8, e rif. [2]) la cui efficacia aveva provato sperimentalmente.

Su questi due eventi le varie fonti consultate forniscono informazioni non sempre concordi. Per esempio, il sito (23) attribuisce a Barker la realizzazione del sistema di riscaldamento della Cattedrale di Liverpool, mentre Adlam (rif. [13], pag. 8) sostiene di essere stato solo lui a lavorarci e non Barker; nel rif. [5], il nome di Barker è cambiato in Baker. Il sito (11) data al 1907 l’invenzione di Barker e, inoltre, introduce un interesse di Frank Lloyd Wright per questa forma di riscaldamento sin dai primi anni del Novecento, maturato in seguito a un viaggio in Giappone nel 1905, durante il quale ebbe modo di conoscere il sistema “ondol”. Questo interesse di Wright, nonché la data del 1907 per l’invenzione di Barker, sono riportati anche dalla presentazione ASHRAE rif. [26].

Non è facile reperire in internet informazioni sul Prof. Arthur H. Barker. La ricerca Google con le parole chiave “Arthur H. Barker” (>>) restituisce, ai primi posti, due pagine Wikipedia dedicate a un omonimo criminale statunitense, ma nessun profilo Wikipedia sul termotecnico. Solo un po’ più avanti è possibile raggiungere il documento “Arthur Henry Barker - Obituary” (rif.  [27]) che fornisce dettagli sulla sua vita e sulla sua produzione scientifica. Si apprende così che, nel 1907, Barker acquisì il brevetto BP 28477 [sito (16)] per il suo sistema di riscaldamento radiante mediante pannelli a pavimento o a parete nei quali circolava acqua calda. Questi dispositivi furono brevettati anche negli Stati Unti nel 1928 (US1671568 rif. [31]) e 1930 (US1775152 rif. [32]). È tuttavia singolare come, nel suo fondamentale manuale sul riscaldamento intitolato “Barker on Heating – The Theory and Practice of Heating and Ventilation” del 1912 (rif. [28]), non ci sia menzione di questo sistema. Barker è considerato da molti come il padre del riscaldamento radiante (rif. [27]), titolo che però altri assegnano a Frank Lloyd Wright [sito (26)], oppure a un tal Irwin Jalonack che il sito (27) indica come il padre del riscaldamento radiante in America. È interessante notare che Barker acquisì una notorietà mondiale per i due seguenti libri che nulla hanno a che vedere con riscaldamento e scambio termico: “Graphical Calculus” pubblicato nel 1902 (rif. [29]) and “Graphic Methods of Engine Design. Including a Graphical Treatment of the Balancing of Engines” pubblicato nel 1897 (rif. [30]).

Il brevetto BP 28477 – di cui non è possibile reperire i dettagli – secondo il sito (16) e il rif. [5] sarebbe stato ceduto alla “Crittal Company” della quale però non sono fornite ulteriori informazioni. Si osserva che la ricerca Google mostra che la “Crittal” (con una “l”) Company non è mai esistita. Il rif. [2], infatti, chiarisce che trattasi della “Richard Crittall – con due elle – and Co Heating, ventilating and air conditioning engineers” della quale il testo rif. [15] mostra la realizzazione in una scuola di Amsterdam (Figura 3-8 del testo) e della Ranworth School a Liverpool (Figure 3-10 del testo). Questo episodio è ripetuto nel rif. [3] dove si aggiunge che la “Crittal” applicò il sistema per la prima volta nel 1909 a Liverpool, mentre nel rif. [5], anch’esso della Caleffi, si sostiene che l’acquisto del brevetto avvenne nel 1909 a Londra dove la compagnia lo applicò al riscaldamento del palazzo “Royal River” (nome che, come si vedrà, è errato, oltre che erroneamente localizzato). Insomma, sembra che ciascun autore segua un proprio percorso storico che non sempre è in grado di superare una più attenta ricerca storiografica.

Il sito web (35) (>>) afferma che la “Richard Crittall and Co” applicò nel 1911 il suo sistema di riscaldamento a pannelli radianti, in contemporanea con un sistema di ventilazione ad aria fresca, nel “Royal Liver Building” di Liverpool. Il nome attuale della compagnia è “RCM Products” (>>) che, infatti, nel suo sito web riporta le medesime informazioni.

Verso la fine degli anni Trenta, grazie in particolare a Frank Lloyd Wright, prese quota la realizzazione di impianti di riscaldamento che prevedevano l’impiego di tubi annegati nella soletta sotto il pavimento, tecnica sostanzialmente analoga a quella attuale.

Nel 1937 Wright [sito (30)] utilizzò il riscaldamento a pannelli radianti nel Johnson Wax Building e sviluppò il progetto per la Herbert Jacobs House (rif. [26]), la prima casa Usoniana [sito (29)]. Nel 1940, secondo “Architectural Record”, negli Stati Uniti impianti a pannelli radianti risultavano installati in otto differenti costruzioni: quattro residenze, una chiesa, una scuola superiore, un edificio per uffici, e un hangar per aeroplani.

L’articolo “Radiant Heating in the U.S.” di Joseph F. Kern Jr (Heating and Ventilating. Volume 38, Number 3, March 1941, >>) elenca ben 84 applicazioni del riscaldamento radiante e altre 14 in fase di proposizione, nel 1941. In questo stesso numero della rivista compare un altro articolo che descrive l’applicazione del sistema in Inghilterra.

Fino alla fine della Seconda guerra mondiale, le costruzioni con impianti a pannelli radianti si limitavano ai casi qui sopra riportanti, o poco più. L’impiego di questa tecnologia era fino ad allora in prevalenza indirizzato a locali non residenziali, come scuole, uffici e chiese.

Anni 1945-1970

Altra figura di rilievo nella storia degli impianti a pannelli radianti fu il costruttore statunitense William Levitt [sito (31)] che dal 1945 al 1951 realizzò sette grandi complessi residenziali suburbani, noti come “Levittown” (rif. [26]) [sito (32)], le cui abitazioni erano dotate di tubi in rame percorsi da acqua calda annegati nel pavimento. Nel 1951 si contavano ben 17 447 abitazioni di questo tipo (rif. [26]).

Il testo “Radiant Heating” di Richard Woolsey Shoemaker, pubblicato nel 1948 (rif. [15]), descrive un buon numero di applicazioni del sistema radiante a cura di vari costruttori molti dei quali tuttora operativi, seppure con diversa ragione sociale. La lista include: Ames Aksila, B. S. Tilney, Robert Bruen & Son, Chase Brass & Copper Co. Inc. (>>), Bethlehem Steel Co (attività cessata nel 2003 >>), A.O. Smith Corporation (>>), A.M. Byers Company (sciolta per fusione nel 1970, >>), Richard Crittall & Co. Ltd. (ora RCM Products >>, si veda anche sito >>), Allen Copper Coil Manufacturing, The H.B. Smith Company Inc., Crane Company, The Timken-Detroit Axle Company, Penn Boiler and Burner Mfg. Corp., Delco Appliance Division General Motors Corporation, Gilbert & Barker Manufacturing Company, Iron Fireman Manufacturing Company, Bell & Gossett Company, H.A. Thrush & Co., Taco Heaters Inc., Sarcotherm Controls Inc., Johnson Service Company, Minneapolis-Honeywell Regulator Company, Hoffman Specialty Company, National Supply Company,

Nel 1950 la tecnologia del riscaldamento a pavimento fu adottata anche dal costruttore Joseph Eichler (>>) che la applicò in migliaia di abitazioni in California.

Sin dalle prime realizzazioni, il concetto di riscaldamento radiante a pavimento andò di pari passo con quello di raffrescamento radiante a soffitto (rif. [26]). Quest’ultima tecnica ebbe però inizialmente poco successo a causa della condensazione e delle muffe, problema successivamente superato abbassando il punto di rugiada con un apposito sistema di ventilazione. La tecnica del raffrescamento radiante così modificata fu applicata con soddisfazione in un magazzino di Zurigo (Svizzera), costruito nel 1936-37, e in un grande magazzino a più piani in Canada edificato nel 1950 (rif. [26]).

È del 1951 il bollettino tecnico dal titolo “Radiant Heating with National Pipe – Bulletin n° 19” edito dalla United States Steel che in 72 pagine illustra con dovizia di dettagli tecnici i vantaggi di questo tipo di impianto (>>). Simili bollettini tecnici, sebbene in qualche caso meno dettagliati, erano già stati pubblicati dalle compagnie: Bell & Gossett negli anni 1945 (rif. [35]) e 1947 (rif. [36]), dalla Chase Brass & Copper Co (1950, rif. [43]), dalla Copper & Brass Research Association (1949, rif. [39]), e dalla A.M. Byers Company (1944, rif. [41]).

Secondo Caleffi (rif. [5]), in questo periodo si assiste a un’impennata dell’applicazione della tecnica del riscaldamento a pavimento, con la realizzazione nei paesi europei di oltre 100.000 alloggi dotati di impianti a pannelli radianti. La tecnica costruttiva adottata prevedeva l’impiego di tubi in acciaio (tipicamente da ½” ma anche da ¾”) annegati direttamente nelle solette, senza interporre alcun materiale isolante. Questa soluzione era molto interessante per i costruttori per il minore costo rispetto agli impianti con radiatori a parete, in quanto richiedevano minori interventi sulle murature, le opere di finitura non erano intralciate e si evitava la verniciatura finale.

Figura 16: Schema impianto a pavimento anni Cinquanta (fonte: Caleffi, Idraulica 9, rif. [3])
 
Figura 17: Spaccato di pavimento con serpentina di vecchia concezione [fonte: sito (15)]

Caleffi (rif. [5]) riferisce che il bollettino tecnico Dalmine n. 26 dell’epoca elencava i seguenti vantaggi: (cit.) “1. Il costo inferiore dell’apparecchio radiante, provato dal fatto che 11 m di tubi da ½” emettono come 1 mq di radiatore a parete; 2. La posa delle serpentine che richiede meno tempo della posa dei radiatori; 3. Non sono necessarie attività murarie quali apertura dei fori, posa delle zanche di sostegno; 4. Non sono necessari attacchi in vista e verniciatura dei radiatori che ostacolano le opere di finitura; 5. Si evitano opere addizionali nel caso di spostamento dei tramezzi di divisione.

I vantaggi economici non erano però, all’epoca, corroborati da un’approfondita analisi prestazionale degli impianti, principalmente a causa del ridotto numero di applicazioni realizzate sino ad allora. Analisi che invece furono inevitabilmente condotte a seguito delle numerose realizzazioni di quegli anni e, in particolare, dei problemi che ne seguirono. Accadde, infatti, che ben presto i residenti delle abitazioni dotate di riscaldamento a pavimento cominciassero a lamentare una serie di disturbi che spaziavano da mal di testa, a gonfiore di gambe, ad eccessiva sudorazione.

In conseguenza di ciò furono istituite delle commissioni mediche per analizzare le cause dei malesseri lamentati. Secondo Caleffi (rif. [5]), furono individuate tre cause principali:

1. temperature troppo alte a pavimento, dovute alla mancanza di isolamento dei tubi;

2. inerzia termica dei pavimenti troppo elevata, dovuta al fatto che i pannelli (non avendo isolamento sotto) scaldavano l’intera soletta;

3. inadeguatezza della regolazione, in pratica solo manuale.

Secondo altre fonti, a causa del carente isolamento termico degli involucri [sito (33)], per mantenere temperature accettabili negli ambienti si rendeva necessario elevare sino a 38-40°C le temperature a pavimento, mentre i lavori delle commissioni dimostrarono che una condizione di malessere insorge quando questa temperatura eccede i 28-29°C. Il bollettino n° 19/1951 della U.S.S. (la cui copertina è mostrata in Figura 20) dimostra come già nel 1951 ci fosse piena consapevolezza di queste limitazioni; infatti, alle pagg. 11 e 28 del rif. [33] (>>) si prescriveva che la temperatura del pavimento fosse compresa tra 75°F (24°C) e 85°F (29°C). L’elevata inerzia termica delle solette, grazie alla quale il calore immagazzinato era restituito anche a impianto fermo, oltre a mantenere alta la temperatura degli ambienti, tendeva anche a prolungare il mantenimento dell’elevata temperatura a pavimento.

La Figura 18 e la Figura 19 mostrano le copertine di due brochure della compagnia ‘’Bell & Gossett’’ pubblicate nel 1945 e nel 1947. È interessante notare che la nuova tecnologia veniva presentata come “Sun-like warmth” (1945) e con le parole “Capture the Sun” (nel 1947)! Questa nuova forma di riscaldamento era percepita e dichiarata naturale come quella solare. L’evoluzione successiva di questa tecnica mostrerà come questi slogan non fossero poi tanto lontani dal vero, atteso che la tecnica del riscaldamento e raffrescamento radiante (confluita nei moderni TABS) è oggi associata ai sistemi a bassa entalpia e ad elevata sostenibilità ambientale.

Figura 18 – Copertina “BG Hydro-Flo Radiant heating” - BG, 1945
 
Figura 19 – Copertina “Capture the sun with BG Hydro-Flo heating” - BG, 1947

Quanto alla problematica della regolazione e alla sua (presunta) inadeguatezza, è interessante osservare che nel rif. [34], edito da Honeywell nel 1946 (la cui copertina è mostrata in Figura 21), è riportata un’ampia e dettagliata discussione di come impostare il sistema di controllo automatico di questi impianti tenendo conto dei diversi effetti, inerzia termica inclusa. L’analisi conduce a un approccio sistematico per la termoregolazione automatica. Che la regolazione fosse in pratica solo manuale, come afferma il Quaderno Caleffi (rif. [5]), non corrisponde dunque allo stato tecnologico provato dalla pubblicazione Honeywell segnalata (rif. [34]), anche se indubbiamente risentiva della ridotta esperienza applicativa sino ad allora maturata.

Negli Stati Uniti molti sistemi di riscaldamento costruiti da Levitt andarono fuori servizio nel giro di 15 – 20 anni, a causa della mancanza di isolamento, dell’interazione tra tubi in rame e solette in calcestruzzo, della permeazione di ossigeno e della conseguente corrosione delle parti metalliche da esso innescata, della necessità di una regolazione più avanzata [sito (24)].

Le problematiche segnalate determinarono la cattiva fama che in breve si guadagnò – soprattutto negli Stati Uniti – la tecnologia degli anni Cinquanta, il che ne limitò l’uso per molti anni a venire, sebbene fosse sin da allora chiaro che gli effetti negativi non erano imputabili alla concezione di impianto, ma alla tecnica realizzativa che non aveva tenuto conto delle sue peculiari caratteristiche. Le stesse commissioni non emisero infatti giudizi critici sul concetto, bensì solo sulla sua applicazione pratica.

Per queste ragioni, negli anni Sessanta la tecnologia fu abbandonata negli Stati Uniti. Non così avvenne nei Paesi Scandinavi e in Centro Europa dove, già all’epoca di Levitt, si era avviato l’uso di tubi di plastica, anziché di rame. La compagnia svedese Wirsbo (dal 1968 Uponor >>), nata nel 1620 come fabbricante di armi e poi convertitasi alla fabbricazione di tubi in acciaio, iniziò negli anni Cinquanta a fabbricare tubi di polietilene.

Figura 20 – Copertina “Radiant Heating With National Pipe” – Bulletin n° 19 – USS, 1951
 
Figura 21 - Copertina “Automatic Control of Radiant Panel Heating” - Honeywell - 1946

In questo stesso periodo (precisamente nel 1951), il Dr. J. Bjorksten dei Bjorksten Research Laboratories di Madison, WI, completò i test (che avevano coperto tre stagioni invernali) su tre tipi di tubi di plastica candidati all’uso per il riscaldamento a pavimento: polietilene, copolimeri di cloruro di vinile e cloruro di vinilidene. Nel 1953 a Edmonton, nella regione di Alberta in Canada, entrò in funzione il primo impianto di polietilene che sarà alla fine il materiale più diffusamente, se non esclusivamente, usato.

Nel 1960 un ricercatore canadese dell’NRC decise di installare nella sua casa un impianto a pavimento alimentato con acqua calda generata da una fornace ad antracite, anticipando i moderni concetti di sostenibilità ambientale (rif. [37]) potendo la fonte energetica utilizzata essere classificata come alimentazione solare passiva.

Nel 1965 Thomas Engel brevettò il metodo per stabilizzate il polietilene con molecole reticolanti usando perossidi (PEx-A) e nel 1967 vendette la licenza a diversi fabbricanti di tubi. Questi due eventi dettero una spinta decisiva all’utilizzo del polietilene per questi impianti.

In questo periodo i pannelli radianti furono applicati soprattutto per il raffrescamento da soffitto (rif. [26]). L’Alcoa Building di Pittsburgh nel 1953, il Kaiser Building di Oakland nel 1960 e lo Shell Centre di Londra (27 piani) nel 1962 sono tre esempi applicativi.

Dagli anni Settanta agli anni Novanta del secolo scorso

Negli anni Cinquanta in Corea maturò un evento che avrebbe successivamente dato un notevole impulso verso soluzioni evolute per il riscaldamento a pavimento. La guerra in Corea aveva spinto la popolazione a sostituire il combustibile usato negli “ondol”, passando dal costoso legno al più economico carbone. L’uso del carbone si rivelò però improvvido, essendo all’origine dei numerosi decessi per intossicazione che occorsero allorché, negli anni Settanta, l’edilizia coreana si orientò sulla realizzazione di edifici a più piani, dove ciascun piano era dotato della propria fornace per la generazione dei fumi. Per contrastare questo imprevisto effetto collaterale, si passò a realizzazioni che prevedevano una fornace centralizzata. Si avviò così la transizione verso sistemi più sicuri e sofisticati. 

Negli anni Settanta la combinazione di migliori soluzioni costruttive (impiego di materiale isolante sotto i tubi e sistemi di regolazione più evoluti) e di norme sul contenimento dei consumi energetici, sotto l’impulso della crisi petrolifera di quegli anni, stimolò un rinnovato impiego degli impianti a pannelli radianti, che progressivamente si affermarono a dispetto della cattiva fama legata agli insuccessi del periodo precedente.

Il migliore isolamento termico dell’involucro degli edifici, sollecitato dalle nuove normative di settore, consentì di ridurre al di sotto della soglia di 28-29°C la temperatura dell’acqua circolante nelle serpentine, con l’effetto di migliorare il benessere e, al tempo stesso, ridurre l’inerzia termica delle solette (che è proporzionale alla temperatura), anche grazie all’interposizione di uno strato di materiale isolante sotto i tubi posati nel pavimento. Questi semplici accorgimenti furono sufficienti a mettere in risalto i vantaggi offerti dal sistema di riscaldamento a pavimento.

Negli anni Ottanta venne pubblicato il primo standard Europeo per il riscaldamento a pavimento. Nello stesso periodo negli “ondol” coreani con fornace centralizzata si cominciò a usare acqua calda al posto dei fumi. A metà degli anni Ottanta il riscaldamento a pavimento assurse al ruolo di riferimento in centro Europa e nell’Europa del Nord, anche grazie alla circostanza che negli anni Ottanta la tecnologia dei tubi PEX aveva subito un altro decisivo miglioramento con l’aggiunta di una barriera per l’ossigeno, evitando così i fenomeni di permeazione che avevano provocato effetti corrosivi con le precedenti applicazioni.

A metà degli anni Novanta comparvero nel mercato i sistemi TABS (Thermal or Thermally Active or Activated Building Systems) per il controllo delle condizioni climatiche in ambienti residenziali e commerciali, sfruttando l’irraggiamento di tubazioni annegate nelle solette in calcestruzzo e nei muri, con fluidi vettori a temperatura prossima a quella ambiente (rif. [52], [53], [54]) [sito (47), (48)].

Anni Duemila

Le soluzioni costruttive impostesi in questi anni hanno condotto alla definitiva affermazione degli impianti a pannelli radianti, diventati di normale impiego anche in conseguenza della diffusione crescente di sistemi di generazione (caldaie a condensazione, pompe di calore, fotovoltaico) a bassa entalpia.

In questo periodo si sono affermati anche in Europa centrale i sistemi di raffrescamento ambientale con tubi annegati nelle solette e nei muri.

I numerosi interventi realizzati offrono oramai una base solida di dati a riprova della loro efficacia che nel tempo ha anche trovato le giustificazioni teoriche per le modalità di regolazione che non erano state immediatamente individuate.

Figure 22: Posa di pannelli radianti negli anni Settanta (da Caleffi, Idraulica 9, rif. [3])
 
Figure 23: Schema di moderno sistema di riscaldamento a pavimento (fonte: rif. [12])

Nel 2005 il numero di richieste di sistemi radianti era cresciuto del 36% (rif. [2])

Nel 2010 sono stati avviati i lavori di due edifici dotati di moderno sistema di condizionamento radiante: il Pearl River Tower a Guangzhou in Cina (71 piani) e il Manitoba Hydro Office Tower in Canada (22 piani) che è divenuto l’edificio energeticamente più efficiente del Nord America [sito (34)].

In questo periodo i sistemi TABS si affermano in modo definitivo come risposta principale alla sostenibilità energetica negli edifici con il contemporaneo miglioramento del benessere (da Figura 24 a Figura 27).

Figura 24: Tubazioni affogate nelle solette nei TABS (fonte: Prof. Marco Carlo Masoero, rif. [55])
 
Figura 25: Schema di disposizione di tubazioni in PVC nei TABS (fonte: rif. [56])
Figura 26: Benessere dalle superfici termicamente attive [fonte: sito (50)]
 
Figura 27:Benessere dalle superfici termicamente attive [fonte: sito (50)]

Conclusions

Il successo applicativo finora riscosso fa intravedere nei TABS la tecnologia del futuro per il riscaldamento degli ambienti residenziali e commerciali, tenuto conto che i vantaggi di questi sistemi sono amplificati dal ricorso sempre più massiccio alle fonti energetiche rinnovabili e a sistemi a bassa exergia. La recente norma ISO 11855-4:15, che ha sostituito la EN 15377-3:2008, tratta specificatamente i TABS. Questi sistemi ben si prestano al raggiungimento degli obiettivi della transizione energetica fissati dall’Unione Europea.

Tutto ciò, ovviamente, si applica alle nuove costruzioni. Resta il fatto che attualmente nel patrimonio edilizio nazionale sono tuttora in funzione impianti a pavimento di vecchia concezione (anni Cinquanta) che, sebbene siano chiamati a servizi a temperatura molto più bassa, rispetto alle origini, per lo sviluppo e la diffusione di caldaie a condensazione e il miglioramento delle condizioni di isolamento degli involucri, risentono tuttavia di molte delle problematiche costruttive di allora: mancanza di isolamento verso il basso, eccessiva profondità di posa, materiale metallico inevitabilmente ammalorato (per quelli mai sostituiti), eccessiva inerzia termica, difficoltà di buona regolazione automatica a causa degli elevati tempi di risposta. La gestione ottimale di questi vecchi impianti (obsoleti sotto l’aspetto realizzativo, ma attuali come concezione) è un obiettivo di non semplice conseguimento, che richiede appropriate metodiche di intervento.

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